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28 agosto: mare, Skogafoss, scogliere

Riva di lava, cascate, foche e pulcinelle di mare

28 Ago

Finalmente si parte da Reykjavik.


Abbandonata la città ritorna il bel tempo. Quella mattina ce ne andiamo al mare. Una bella riva di sabbia nera, che lascia poi il posto a ciottoli tondi di grandi dimensioni, poi a una colata lavica e infine alla distesa di acqua blu del mare calmo.
Io e Fabio andiamo a visitare uno sgrottamento che si apre su una parete, raggiungibile camminando su massi scivolosi. Anche l'interno, nero, è cosparso di sassi di ogni dimensione, neri e scivolosi.

Tornati sulla sabbia vediamo il Pakistano che corre a prendere la sua macchina fotografica. Ha avvistato un visone. Nel frattempo arriva anche Maverick.
Vicino alla parete troviamo escrementi e una bottiglia di plastica rosicchiata.
Dopo qualche minuto di attesa riesco a vedere anche io il visone, che esce dal suo nascondiglio e si arrampica velocemente sulle rocce, sparendo sulla sommità della parete. Nessuno è riuscito a fotografarlo. Mi arrampico fin su, nella vana speranza di vederlo di nuovo, ma niente. Ridiscendo e raggiungo le macchine. Si è fatta l'ora di pranzo e ci prepariamo un paio di panini.

Dopo pranzo andiamo a visitare un'ennesima bella cascata. C'è un sentiero che passa dietro il velo d'acqua che cade, uno spettacolo quasi insolito. Dalla base parte un altro sentiero, che costeggia una parete di roccia e porta ad un'altra piccola cascata, a pochi metri dalla quale si apre una cavità nella roccia, immersa nella vegetazione, il cui interno è di pochissimi metri di diametro.

Da lì partiamo per la cascata di Skogafoss. Il salto è maggiore e un arcobaleno che parte dal laghetto rende la visita ancora più soddisfacente.

La giornata continua con una passeggiata su una scogliera, nella baja di Dhiroley, dove un faro fa da sentinella. Da lì c'è una bella vista sul mare, dove un grosso scoglio a forma di elefantino sembra galleggiare nell'acqua azzurra.

E' pomeriggio inoltrato quando arriviamo ad un'altra spiaggia a cui si accede da una sorta di passo fra due pareti di roccia. La sabbia è sempre nera, in riva ciottoli tondeggianti.
E poi avvistiamo le foche. Sono due, si avvicinano fino a qualche metro, poi si allontanano intimorite da tutta quella gente. La lunga spiaggia, verso destra, termina dove la parete fa una curva. Mi spingo fin laggiù. Lungo la strada, sulla roccia alla mia destra, si intravedono all'interno di una cavità dei corpi ovoidali, giallo-arancio, lisci. Sembrano rocce ma anche grosse uova. Uova di chi? Uno di quei corpi misurerà oltre 20 cm di diametro per una trentina di altezza...

Poi vedo un gabbiano in terra, sulla spiaggia. Appena mi avvicino si muove per andarsene. Ma non spicca il volo, cammina appena, poi ricade, come se fosse ferito, ma non si vedono ferite. Arrivo alla fine della spiaggia e poi torno indietro, raggiungendo quel gabbiano. Cerco di toccarlo, ma come mi avvicino troppo si allontana, fino a lasciarsi prendere dalle onde, sparendo perfino, una volta, nell'acqua. Non lo vedo più, è ormai scuro, il cielo è anche nuvoloso, e mi convinco che, poveraccio, è rimasto annegato. Poi lo vedo galleggiare di nuovo, tranquillo, e allontanarsi verso il mare aperto.
Non so che fine abbia fatto quel gabbiano, così come non mi spiego quel suo comportamento.

Tornando, vedo qualcuno che ha notato quelle "uova". E' uno dei figli delle famiglie Bradford, che insieme ad altri ragazzi delle famiglie sta cercando di arrampicarsi sulla roccia liscia e senza appigli. Poi ci prova anche la ragazza più grande, sollevata dagli altri. Chissà come pretendevano di arrampicarsi lassù, c'erano almeno 3 metri di roccia liscia da superare.
"Ma non vedete che non ci sono appigli?" dico io sorridendo. "Sì che ci sono!" mi risponde lei ridendo, con le mani che cercavano inutilmente di afferrare appigli inesistenti.
Per fortuna desistono. Maurizio ci sprona a tornare.

Quando esco dalla spiaggia vedo un capannello di gente sulla sommità di una parete. Li raggiungo di corsa e subito qualcuno mi fa cenno di fare silenzio.
Qualcosa di unico, quindi.
Mi sdraio a terra accanto a Fabio, che è impegnato a scattare foto. "Ce l'hai il cavalletto?" mi chiede. "Certo" e lo tiro fuori dalla tasca dei pantaloni.
Davanti a me, sulla parete della scogliera, riparate da una rientranza nella roccia, sei pulcinelle di mare se ne stavano tranquille, ignorando noi che dall'alto le osservavamo a bocca aperta.
Non era più tempo per i puffin, avrebbero già dovuto migrare altrove. Erano forse le ultime del loro gruppo, ritardatarie. Prendo la digitale e scatto anche io diverse foto, che poi, per un problema alla macchina, non vengono...

E' ormai sera, montiamo in auto e ripartiamo.
Il nostro campo è a Vik, un bel campeggio, ampio, con un rifugio tondeggiante per poter cenare e, nel retro, i bagni.
Strani architetti in Islanda. Uno dei bagni maschili ha un'intera parete occupata dalla finestra e nessuna tenda o altro a rendere riservate le azioni svolte all'interno...
Quella sera si mangia bene: bistecche. Le cuciniamo in un barbecue usa e getta fuori del rifugio.

E con la pancia piena ci lasciamo alle spalle il nostro dodicesimo giorno in Islanda.

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